Nel quadro di un dibattito sul riciclo in architettura, condotto per opposizioni, il binomio noto/innovativo offre i termini estremi di una riflessione che, attraversando le loro molte sfumature, può porre alcune questioni riguardo sia alla teoria che alla pratica del progetto1Il testo fa riferimento alla sessione noto/innovativo del convegno Re- cycle Op_positions, provando a restituirne premesse ed esiti, alla luce dell’istruttoria e dei contributi pervenuti. Tra parentesi i riferimenti ai contributi. .
Da una parte questioni centrate sulla possibilità di definire il riciclo come nuovo paradigma, che scaturisce dal nostro tempo, propone una strategia per rispondere alle domande contingenti e introduce un nuovo termine nel dibattito sull’architettura; dall’altra questioni centrate sulla possibilità di individuare il riciclo come attitudine innovativa al progetto, che interviene sull’esistente trasformandone il senso, esprime capacità di vederlo in modo nuovo e libertà di trarne soluzioni inedite e latenti. In aggiunta, l’interrogazione sul riciclo come pratica nota, che si perpetua da sempre nella cultura progettuale e nei paesaggi, o che si può riconoscere oggi, con nuovi criteri di interpretazione, in un patrimonio esistente di progetti.
Sullo sfondo, altre opposizioni, tra continuità e discontinuità, originale e rivisitazione, possono rappresentare termini di un dibattito più ampio, che riconduce diverse discipline a un terreno condiviso, dal quale può emergere l’assonanza tra le condizioni contemporanee del progetto come manipolazione dell’esistente e dell’arte come reinterpretazione (Marco Senaldi)2M. Senaldi (a cura di), Cover Theory. L’arte contemporanea come reinterpretazione, Libri Scheiwiller, Milano 2003. .
1. Il riciclo come nuovo paradigma
Mutuato dal sapere comune e da altre discipline, rilanciato in questi anni di crisi da chiamate alla riduzione, alla decrescita, al riuso, al ripensamento di visioni di sviluppo e modernità e di ordinamenti disciplinari del progetto, il riciclo può assumere un’utilità nel dibattito sulla realtà e la cultura progettuale attuale. Radicato nelle contingenze, impegnato nella definizione di propri strumenti e strategie e di un proprio statuto culturale, si candida a essere nuovo paradigma3M. Ricci, Nuovi paradigmi, List Lab, Trento 2013. per il progetto di architettura, città e paesaggio.
Il riciclo come nuovo paradigma è radicato nelle contingenze. In un momento nel quale i territori si riscoprono consumati da anni di espansione, in un paesaggio nel quale la crisi rivela spazi di dismissione e ritrazione, in un tempo nel quale urgenze ambientali economiche e sociali spingono a fare tesoro di tutte le risorse, mentre si dissolvono le concezioni monolitiche di modernità e sviluppo, il confronto con l’esistente assume caratteri di intensità e necessità, e il riciclo entra nel dibattito progettuale. L’ottica del riciclo, rivolta ai territori attuali, può sollevare i temi dei manufatti abbandonati della città recente e di quella consolidata (Arturo Lanzani, Chiara Merlini, Cristiana Mattioli, Federico Zanfi), degli spazi vuoti e dei paesaggi residui (Massimo Lanzi), dei nuovi paesaggi urbani esposti a obsolescenza (Emanuela Nan), della spazzatura e degli scarti (Giamila Quattrone), sollecitarne usi creativi, scrivere nuove modalità di azione (Chiara Olivastri), suggerire raccomandazioni su protocolli d’intervento (Massimo Angrilli). E se, nell’affrontare questi temi, le recenti ricerche sulla città rappresentano un retroterra consistente, che comprende l’urbanistica del paesaggio e quella ecologica, la definizione dei paesaggi di scarto, le riflessioni su cicli di vita, dissipazioni e crisi, alcuni esempi di politiche, ma anche diversi casi di pratiche urbane 4Tra le altre, per l’urbanistica letta nella chiave del paesaggio C. Waldheim, The Landscape Urbanism Reader, Princeton Architectural Press, New York 2006; A. Berger, Drosscape. Wasting Land in Urban America, Princeton Architectural Press, New York 2007; M. Mostafavi, G. Doherty, Ecological Urbanism, Lars Muller, Baden 2010; per le politiche urbane il caso di Detroit; per le pratiche urbane gli esempi di Tactical Urbanism in www.streetplans.org. , la ricerca progettuale sul riciclo trova una propria specificità nell’attenzione all’esistente, a condizioni e circostanze, materiali e dinamiche, domande e potenzialità, rivolgendoli in ingredienti di una strategia d’azione. Questa strategia, che risponde sul piano locale a un richiamo globale alla riduzione, nell’esplorazione di una via italiana può trovare ragioni nelle esigenze, nei vincoli, nelle crisi e nelle risorse dei nostri paesaggi.
Ma il nuovo paradigma supera le contingenze. In un momento nel quale, insieme con le crisi dei territori e delle loro visioni, entrano in crisi ordinamenti consolidati del progetto, il ricorso al riciclo è l’occasione per un ripensamento di tecniche come di immaginari, per una manipolazione dell’esistente che si muove tra il riconoscimento di necessità e la ricerca di possibilità espressive, proponendo un nuovo termine al dibattito d’architettura5P. Ciorra, Per un’architettura non edificante, in P. Ciorra, S. Marini (a cura di), Re-cycle. Strategie per l’architettura, la città e il pianeta, Electa, Milano 2011. . Un contributo nell’ottica del riciclo al dibattito culturale sul progetto può passare in rassegna altri termini e tendenze (Umberto Cao), prendere in prestito strumenti e processi da altre discipline (Gianbattista Reale), ragionare in termini di sistema e di funzionamento (Maurizio Costantini, Andrea Revolti), o di programma e di visione (Lina Malfona), delineare un approccio operativo (Andrea Oldani) o tentativo (Nicola Marzot). Oscillante tra aspetti pragmatici e concettuali, aperta a suggestioni eterogenee, che attengono a molti campi culturali, dall’arte alla politica alla filosofia all’ecologia all’economia, agli studi sui materiali e sui rifiuti6Per fare solo due esempi, N. Bourriaud, Post-production. Come l’arte riprogramma il mondo, Postmediabooks, Milano 2004 (ed. or. 2001); W. McDonough, M. Braungart, Cradle to Cradle: Remaking the Way We Make Things, North Point Press, New York 2002. , la riflessione intorno a una teoria del riciclo in architettura passa per la loro confluenza nel progetto, per tesi, opere e autori centrati su reinvenzioni e manipolazioni, e trova fondamento in rassegne recenti, a partire da quella intitolata a questo tema.
Se Re-cycle7P. Ciorra, S. Marini (a cura di), Re-cycle. Strategie per l’architettura, la città e il pianeta, cit. ha messo in mostra una tendenza dell’architettura attuale, Re-cycle Italy può verificarne implicazioni e lanciarne proiezioni, anche a partire dalla postazione italiana. Individuare il riciclo come nuovo paradigma può voler dire, nel contesto dei territori attuali, elevarlo a strategia e, nel contesto del dibattito progettuale, individuarlo come tendenza, offrendone dei principi, una casistica di esempi e un fondamento culturale, tracciandone traiettorie aperte a completamenti.
2. Il riciclo come attitudine innovativa al progetto
Se alcuni connotati del riciclo sono l’aspetto adattativo e sovversivo, l’adesione alle circostanze e alle occasioni, l’inclusione di errori e imperfezioni, un’ottica fondata sul riciclo può produrre germi di innovazione. Nodi di riflessione possono essere lo scarto, inteso come oggetto di rielaborazione, ma anche come posizione dello sguardo, e il tempo, inteso come materiale di progetto.
Il riciclo come attitudine innovativa al progetto prescinde dalla ricerca del nuovo per ricavare novità dall’esistente. Rinnovare le cose trovate, rinnovare lo sguardo che le osserva, rinnovare il processo progettuale sono esiti più che obiettivi di un’attitudine al progetto che lavora con poco, approfitta di quello che ha a disposizione, si muove nelle pieghe del tempo e dello spazio, nelle contraddizioni, non perseguendo l’innovazione, ma raggiugendola quasi per incidente, o come effetto collaterale della risposta a necessità e occasioni.
Guardare al riciclo in questa chiave comporta una riflessione sul processo progettuale, che può implicare un movimento intorno al ciclo preferendo gli spazi di incertezza, del termine, dell’oggetto, del progetto (Nicola Marzot), una capacità di riconoscere il futuro nel passato (Gennaro Postiglione) o di praticare la dimenticanza, che ha che fare con la doppia attitudine allo scarto come selezione e spostamento dello sguardo (Giovanni Corbellini), di produrre attraverso questo spostamento slittamenti di senso delle cose (Fernanda De Maio, Alberto Ferlenga, Andrea Iorio), o rinnovamenti di vita delle forme (Margherita Vanore), di reinterpretare il tempo della costruzione (Paola Galante, Roberto Serino), di riconoscere, tra le tecniche, al montaggio la possibilità di produrre innovazioni linguistiche (Rita Simone), di evidenziare un rivolgimento di visione stabilendo differenze col progetto di assemblaggio (Lina Malfona).
Per quanto queste riflessioni non si riferiscano necessariamente a questi tempi, a questi tempi appartengono molte ricerche centrate sui fenomeni di mutazione dello spazio e sui meccanismi innovativi del progetto, che comprendono il parassitismo, la bassa definizione, la progressione, ma anche l’attivismo e la partecipazione, e molte altre tattiche progettuali, spesso proposte in forma di atlanti o di manuali8Tra le altre, per il parassitismo S. Marini, Architettura parassita. Strategie di riciclaggio per la città, Quodlibet, Macerata 2008; per la bassa definizione M. Lupano, L. Emanueli, M. Navarra, Lo-fi Architecture. Architecture as a Curatorial Practice, Marsilio, Venezia 2010; per le azioni urbane G. Borasi, M. Zardini, Actions. What you can do with the city, CCA, Montréal 2008; per le tattiche, F. Ippolito, Tattiche, Il Melangolo, Genova 2012. , mentre una riflessione su questi meccanismi orientata alla specificità innovativa del riciclo può tendere a una chiarificazione delle intenzioni, con differenziazioni dal riuso, il recupero, la riqualificazione, e a una diversa consapevolezza d’uso, che può passare, anche, per una loro catalogazione.
Nell’individuare il riciclo come attitudine innovativa al progetto, l’interrogazione riguarda le modalità, i materiali, i dispositivi e i processi progettuali di interventi sull’esistente che ne modificano il senso, la possibilità di precisarne le intenzioni e di codificarne i passi e gli strumenti. Un’avvertenza può riguardare il rischio che un eccesso di codificazione possa depotenziarne il carattere innovativo.
3. Il riciclo come pratica nota
Radicato nel proprio presente, fondato sulla risposta alle occasioni, l’intervento sull’esistente inteso come reinvenzione può essere rintracciato nell’architettura di tutti i tempi. Un patrimonio di edifici e spazi manipolati, di pratiche di trasformazione, adattamento, migrazione di materiali architettonici e urbani, e di teorie delle pratiche e nobilitazioni di espedienti, balza all’attualità nelle condizioni odierne; riconosciuto, rinominato, è materiale di rielaborazione teorica nel dibattito corrente sul riciclo.
Il riciclo come pratica nota è testimoniato da un repertorio di esempi e studi che possono essere messi in nuova luce. Ammettere una consuetudine alle azioni di riciclo può servire a ritrovarle nell’architettura nella città e nel paesaggio, e nel sapere progettuale, identificandole come patrimonio condiviso, a riconoscere novità non tanto all’attitudine al riciclo in sé, quanto al suo uso e alla sua declinazione attuale. Guardare al riciclo come cosa nota può voler dire riscontrare analogie con esempi del passato e continuità nella pratica del mestiere, ma anche individuare differenze e discontinuità nelle condizioni cambiate (Andrea Oldani), ribadire un’attitudine allo sguardo di scarto sul banale (Fernanda De Maio, Alberto Ferlenga, Andrea Iorio), rintracciare dei precedenti alle teorizzazioni attuali e una specificità dell’architettura nel rinnovarsi delle forme (Margherita Vanore) o dell’origine, e discutere se ci sia niente di nuovo sul fronte del pensiero (Dina Nencini). Se alcuni frammenti di queste riflessioni si possono rintracciare nelle ricerche sull’architettura senza architetti e i paesaggi vernacolari, nelle esplorazioni dei paesaggi banali, nelle letture delle stratificazioni di alcune architetture urbane – e nell’elevazione a modello di alcuni casi speciali –, nelle teorie sulla vita delle opere e delle loro forme9B. Rudovsky, Architecture without Architects. A Short Introduction to Non-Pedigreed Architecture, University of New Mexico Press, Albuquerque 1987; J. B. Jackson, Discovering the Vernacular Landscape, Yale University Press, New Heaven and London 1984; A. Rossi, L’architettura della città, Marsilio, Venezia 1966; H. Focillon, La vita delle forme, Einaudi, Torino 1990 , e ulteriori potrebbero emergere dal richiamo ad alcune opere o al lavoro di alcuni autori, o ad alcuni momenti dell’architettura, l’interpretazione del riciclo come pratica nota tende a combinare tutti questi frammenti in un unico paesaggio culturale, fatto di teorie e opere, luoghi e architetture, produzioni anonime e d’autore – le rovine di Bosra abitate, gli anfiteatri di Arles, Nimes e Lucca o il palazzo di Spalato trasformati in città, e le loro letture, il progetto stratificato di Eisenman per Cannaregio, l’High Line di New York trasformata in passeggiata, il Palais de Tokyo progettato incompiuto10Cfr. mostra e catalogo P. Ciorra, S. Marini (a cura di), Re-cycle. Strategie per l’architettura, la città e il pianeta, cit. – composto per analogie secondo il filo conduttore del riciclo. In questo paesaggio, che stabilisce familiarità inattese, può risiedere la possibilità di liberare una teoria del riciclo dalle urgenze e i vincoli del legame esclusivo con la contemporaneità proiettandola in un tempo più ampio dell’architettura, ma anche il rischio di ridurre questo tempo a luogo di perenni ricorrenze.
L’interrogazione sul riciclo come pratica nota riguarda la possibilità di riconoscere un’attitudine propria dell’architettura all’adattamento, al sovvertimento, alla reinvenzione, al dialogo col proprio tempo, e il richiamo a misurare su condizioni mutate la ricerca di nuovi atteggiamenti11Cfr. A. Ferlenga, Ricicli e correzioni, in ibid..
Se l’azione progettuale del riciclo produce uno slittamento di senso dell’oggetto, reinventando cose note, una teoria del riciclo di fronte al binomio noto/innovativo produce un analogo spaesamento, riscrivendo i termini dell’opposizione. Mentre, in estrema semplificazione, si può dire che il riciclo è una pratica nota, innovativa in sé, che si propone rispetto alle attuali contingenze dei territori e del dibattito culturale come nuovo paradigma, abbandonata la semplificazione, le diverse accezioni di questi termini e i loro spazi di ambiguità creano la possibilità di espandere il campo di riflessione, non tanto per conciliare posizioni, quanto per sperimentare posizionamenti. Ampliato il campo, il ritorno ai termini originari dell’opposizione, come il ritorno della contemporaneità a termini come continuità e discontinuità, originale e rivisitazione, ri-descritti dalle vicende che li hanno attraversati, offre una terza strada, nella quale risiede l’obversione delle strutture concettuali (Marco Senaldi) e, forse, la forza sovversiva del riciclo. Se il progetto di riciclo è tentativo, e ha il potere di sovvertire l’esistente, può essere tentativa la sua teoria, e sovversiva, quando non cerca risposte a domande date – la crisi, la condizione post-moderna – ma prova a riformulare le domande.
References
1. | ↑ | Il testo fa riferimento alla sessione noto/innovativo del convegno Re- cycle Op_positions, provando a restituirne premesse ed esiti, alla luce dell’istruttoria e dei contributi pervenuti. Tra parentesi i riferimenti ai contributi. |
2. | ↑ | M. Senaldi (a cura di), Cover Theory. L’arte contemporanea come reinterpretazione, Libri Scheiwiller, Milano 2003. |
3. | ↑ | M. Ricci, Nuovi paradigmi, List Lab, Trento 2013. |
4. | ↑ | Tra le altre, per l’urbanistica letta nella chiave del paesaggio C. Waldheim, The Landscape Urbanism Reader, Princeton Architectural Press, New York 2006; A. Berger, Drosscape. Wasting Land in Urban America, Princeton Architectural Press, New York 2007; M. Mostafavi, G. Doherty, Ecological Urbanism, Lars Muller, Baden 2010; per le politiche urbane il caso di Detroit; per le pratiche urbane gli esempi di Tactical Urbanism in www.streetplans.org. |
5. | ↑ | P. Ciorra, Per un’architettura non edificante, in P. Ciorra, S. Marini (a cura di), Re-cycle. Strategie per l’architettura, la città e il pianeta, Electa, Milano 2011. |
6. | ↑ | Per fare solo due esempi, N. Bourriaud, Post-production. Come l’arte riprogramma il mondo, Postmediabooks, Milano 2004 (ed. or. 2001); W. McDonough, M. Braungart, Cradle to Cradle: Remaking the Way We Make Things, North Point Press, New York 2002. |
7. | ↑ | P. Ciorra, S. Marini (a cura di), Re-cycle. Strategie per l’architettura, la città e il pianeta, cit. |
8. | ↑ | Tra le altre, per il parassitismo S. Marini, Architettura parassita. Strategie di riciclaggio per la città, Quodlibet, Macerata 2008; per la bassa definizione M. Lupano, L. Emanueli, M. Navarra, Lo-fi Architecture. Architecture as a Curatorial Practice, Marsilio, Venezia 2010; per le azioni urbane G. Borasi, M. Zardini, Actions. What you can do with the city, CCA, Montréal 2008; per le tattiche, F. Ippolito, Tattiche, Il Melangolo, Genova 2012. |
9. | ↑ | B. Rudovsky, Architecture without Architects. A Short Introduction to Non-Pedigreed Architecture, University of New Mexico Press, Albuquerque 1987; J. B. Jackson, Discovering the Vernacular Landscape, Yale University Press, New Heaven and London 1984; A. Rossi, L’architettura della città, Marsilio, Venezia 1966; H. Focillon, La vita delle forme, Einaudi, Torino 1990 |
10. | ↑ | Cfr. mostra e catalogo P. Ciorra, S. Marini (a cura di), Re-cycle. Strategie per l’architettura, la città e il pianeta, cit. |
11. | ↑ | Cfr. A. Ferlenga, Ricicli e correzioni, in ibid. |