Glasgow made the Clyde and the Clyde made Glasgow, the saying goes. The fortunes of Glasgow and its illustrious waterway have been inextricably linked over centuries. When the Clyde prospered in the eighteenth and nineteenth centuries, firstly through trade in cotton and tobacco, followed by shipbuilding, the generated wealth built Glasgow’s Victorian city of stone. Equally the decline of shipbuilding in the early years of the twentieth century was registered in the subsequent decline and depopulation of the city core in the latter half of the century. Once the city’s industrial artery, the Clyde is reimagined as a component in Glasgow’s post-industrial renaissance as a city of culture. In terms of Glasgow’s urban fabric the question remains, how does Glasgow repair the riverside territories vacated by heavy engineering infrastructure? The key issue is scale, for the post-industrial sites along the river are of such a magnitude and multitude that urban infill is not a viable strategy and urban reconstruction is required. This is the context to which the following research is addressed. In attempting to answer the aforementioned question our author, the Venetian ‘outsider’ seeks to speak with a Glasgow tongue, through the unpacking of Glasgow’s ‘historical baggage’. The result is neither pastiche nor architectural ventriloquism, rather a radical conservatism in search of an authentic urban response, eliciting a lineage back to the urban concerns of his teacher’s teacher Manfredo Tafuri. As a native of Glasgow I welcome the care, concern and detailed attention given to the ‘place’ I call home and for the sincerity with which the work was conducted.
Parlando in lingua: Una proposta radicale per il waterfront di Glasgow
Il Clyde fece Glasgow e Glasgow fece il Clyde, dice il proverbio. Le sorti di Glasgow e del suo fiume sono state indissolubilmente legate nel corso dei secoli. Quando il Clyde prosperò nei secoli XVIII e XIX, in primo luogo attraverso il commercio di cotone e tabacco, in seguito attraverso i cantieri navali, la ricchezza generata da questo sviluppo industriale e commerciale creò la città vittoriana, costruita in solida pietra. Parimenti il declino della cantieristica nei primi anni del XX secolo, determinò il successivo declino e lo spopolamento del centro città nella seconda metà del secolo. Un tempo arteria industriale della città, il fiume Clyde si è reinventato quale componente-chiave della rinascita post-industriale di Glasgow come città di cultura. In termini di costruzione della città, ci si chiede come Glasgow possa riformulare oggi i territori lungo il fiume lasciati liberi dalle ingegneristiche infrastrutture portuali. La questione chiave è la scala degli interventi, dal momento che i siti post-industriali lungo il fiume sono tanti e di tale portata che un’operazione di infill urbano non è una strategia praticabile ed è necessaria una vera e propria opera di ristrutturazione urbana. Questo è il contesto entro cui lavora la ricerca qui presentata. Nel tentativo di rispondere alla domanda sopra menzionata, il nostro autore, un outsider veneziano, cerca di parlare con una lingua Glaswegian, mediante una interpretazione scompositiva del ‘bagaglio storico’ di Glasgow. Il risultato non è né un pastiche né un ventriloquismo architettonico, piuttosto un’opera di “conservazione radical” in cerca di un’autentica risposta di caratura urbana, in continuità con una linea di pensiero sul progetto urbano che rimonta alla lezione di un maestro del suo stesso insegnante, cioè Manfredo Tafuri. Come nativo di Glasgow, accolgo con favore la cura attenta e documentata con cui si è letto il ‘luogo’, che io chiamo ‘home’, e per la ‘sincerità’ con la quale è stato condotto il lavoro.