“Il realismo magico non ci fa desiderare la normalità (comunque la si voglia definire), ma ci invita a guardare al di là di ogni norma occultata dalle convenzioni”. Pierluigi Nicolin, nell’introdurre i progetti contenuti nel numero di Lotus 116 (2003), dal titolo I nuovi Realisti, rimette in valore l’idea di realismo in architettura cercando di emanciparla dalla nuova oggettività, e rifacendosi alla versione originale, a quel real maravilloso che mescolando reale e fantastico cerca di conservare il sublime. Il realismo magico ha uno stretto rapporto con l’unheimlich, il perturbante, che nasce dalla percezione inquietante di un elemento “strano” in qualcosa che sembra familiare e ordinario.
Forse è possibile farsi guidare da questa chiave di lettura per esplorare le possibilità offerte al progetto di architettura dall’occasione di lavorare in contesti un tempo ordinari, ma che attualmente vivono condizioni atipiche, in conseguenza del fatto di aver quasi concluso il loro ciclo di vita. È certamente il caso dei centri minori in via di spopolamento o già completamente abbandonati, fenomeno che interessa con declinazioni diverse tutta l’Italia e il cui studio sta definendo una nuova geografia.
Intervenire sul ciclo di vita di questi nuclei urbani, ha una doppia implicazione: di carattere economico e sociale da un lato, di ordine propriamente architettonico e spaziale dall’altro. Nel primo caso sarebbe interessante lavorare sull’ipotesi di attivazione di un sub-cycle, ovvero innescare processi a bassa intensità accettando il declino come un fenomeno non necessariamente da invertire ma da assecondare. In altre parole riciclare questi luoghi la cui vocazione è essenzialmente abitativa, insediativa, vorrebbe dire accettarne la complessiva decrescita, intervenendo con azioni mirate, distanziate ed equilibrate cercando di riorganizzare le risorse piuttosto che investendone di totalmente nuove, così come avvenuto nell’esperienza tedesca dell’IBA City Network che dal 2002 sviluppa strategie contro l’abbandono e il degrado di 19 città appartenenti alla regione Saxony-Anhalt, interessata da un consistente calo demografico a partire dal 1990, e raccolte nella mostra Less is Future che si è svolta nello storico edificio del Bauhaus, nel 2010.
Data la premessa, in questo breve scritto è più opportuno però ragionare sul secondo punto ovvero le potenzialità offerte dai materiali urbani che restano sul terreno al compiersi del ciclo di vita dei centri minori, e indicare alcune linee di ricerca. Osservando ad esempio la foto zenitale di Cocullo (AQ), paese collocato sulla A24 tra Pescara e Roma che alla fine della seconda guerra mondiale contava alcune migliaia di abitanti (oggi 200 sulla carta, ma poche decine nella realtà), appare subito evidente come il materiale urbano primario sia il rudere, leggibile come lacuna, nel tessuto urbano più compatto e conservato, e come parte ormai integrante del paesaggio laddove è stato sottoposto ad uno spontaneo processo di rinaturalizzazione.
Ri-abitare i ruderi, nella logica del sub-cycle ovvero sostenendone un sottoutilizzo, anche in termini di volumetria, vorrebbe dire quasi assumere un impegno radicale, una sorta di “strategia del 50%” che non nasce solo da una posizione ideologica (la decrescita a tutti i costi) piuttosto dall’osservazione diretta e ravvicinata del sito, dalla volontà di riconoscerne le nuove qualità spaziali. Molto spesso è la presenza del vuoto generato da un crollo ad aprire prospettive inaspettate, suggerire rapporti nuovi con le condizioni al contorno, diventare il vero elemento di qualità del progetto, ed il luogo in cui l’intensità d’uso paradossalmente potrebbe divenire più alta. Osservando il panorama dei progetti che si confrontano con il tema del riciclo in architettura e rileggendone altri particolarmente attenti al contesto e alla presenza dell’elemento naturale, è possibile riconoscere alcuni modi di agire particolarmente coerenti con lo sfondo che si è cercato di delineare. Tre progetti-manifesto potrebbero in questo senso essere:
- The Dovecote Studio, Haworth Tompkins Architects.
- House N, Sou Fujimoto Architects.
- House Rot Ellen Berg, Architecten De Vydler, Vinck, Taillieu.
Nel primo, gli architetti usano una logica parassitaria per inserire un nuovo edificio all’interno di un rudere tenendo distinti i due corpi, lasciando al vecchio la possibilità di mostrare i segni del tempo e continuare a subirne le trasformazioni. Nel secondo, una casa composta da tre scatole concentriche, assume importanza lo spazio intermedio e indeterminato tra interno ed esterno. La separazione non è più netta ma è data dalla stratificazione dei confini che consente agli ambienti interni di estendersi gradualmente verso la città. La stratificazione dello spazio domestico, derivante anche da una esigenza di risparmio energetico, è il tema del terzo progetto che interviene su di un edificio esistente – per utilizzare le parole di Francesca Picchi su Domus 954 – con poco o niente.