Alle volte mi basta uno scorcio che s’apre nel bel mezzo d’un paesaggio incongruo, un affiorare di luci nella nebbia, il dialogo di due passanti che s’incontrano nel viavai, per pensare che partendo da lì metterò assieme pezzo a pezzo la città perfetta, fata d’istanti seprati da intervalli, di segnali che uno manda e non sa chi li raccoglie. Se ti dico che la città cui tende il mio viaggio è discontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora più densa, tu non devi credere che si possa smettere di cercarla.
(Italo Calvino)1Calvino, I., Le città invisibili, Einaudi, Torino 1972, p. 81.
La dolcezza delle utopie e l’assoluta differenza delle eterotopie fondano entrambe le proprie ragioni nella spietata topia del reale.L’elaborazione delle utopie, di costruzioni senza spazio e senza tempo nate dalla mente degli uomini o, come puntualizza Foucault, “(…), negli interstizi delle loro parole, nello spessore dei loro racconti o anche nel luogo senza luogo dei loro sogni, nel vuoto dei loro cuori(…)”2Foucault, M., Les Heterotopies, Paris 2004; trad. it. Moscati, A. (a cura di) Utopie Eterotopie, Cronopio, Napoli 2006., svolge un ruolo consolatorio3Foucault, M., Les Mots et les Choses. Une archéologie des sciences humaines, Paris, 1966; trad. it. Rizzoli, Milano 1967. rispetto alla presunta negatività dei luoghi reali e, mostrando la possibilità di far esistere un luogo in assenza, afferma l’ineludibile realtà dei luoghi che si pretende di cancellare.
La realizzazione delle eterotopie, degli inquietanti luoghi ritagliati dagli uomini negli spazi della quotidianità che si oppongono agli altri con compiti eversivi o salvifici, non può che misurare l’assoluta differenza di questi, la loro alterità di contro-spazi, sull’esistenza di tutti gli altri spazi ordinari, banali o casuali, che in qualche modo pretende di contestare creando mondi illusori o ambienti perfetti.
Che si intenda affrancarsi da essi, facendo “ritorno” a luoghi mitici o a isole verdi o recinti sacri, i luoghi reali costituiscono il termine di confronto di ogni affermazione soggettiva, la sostanza non surrogabile per qualunque alchimia, il materiale basilare per qualsiasi costruzione logica. Malgrado tutto, i luoghi reali si impongono all’osservazione obbligando a vedere debitamente il loro tempo ed il proprio destino: a conoscerne le forme e le strutture per poterne teorizzare l’avvenire.
I luoghi reali, tuttavia, non si oppongono all’utopia, essendo essi stessi sempre sotto un altro cielo rispetto ad altri luoghi, sempre altrove rispetto a tutti gli altrove del mondo. I luoghi reali, peraltro, includono le eterotopie negli innumerevoli ritagli in cui l’esperienza urbana si frantuma. Essi confondono utopie ed eterotopie fra i molteplici spazi che si compongono e disaggregano dinanzi agli occhi, aprendo a sfondamenti improvvisi e vertiginosi, focalizzando elementi stranianti, producendo sospensioni di senso, per poi di nuovo ricomporsi in visioni inedite.
I luoghi reali sono i luoghi assoluti, piccoli frammenti di spazi nei quali viviamo, con cui ci confrontiamo, che attraversiamo cercando – con Perec4“(…) gli spazi si sono moltiplicati, spezzettati, diversificati. Ce ne sono oggi di ogni misura e di ogni specie, per ogni uso e per ogni funzione. Vivere, è passare da uno spazio all’altro, cercando il più possibile di non farsi troppo male”. Perec, G., Specie di spazi, trad. it. Bollati Boringhieri, Torino 1989.- il più possibile di non farci troppo male. Sono i ritagli nei quali percepiamo il posto delle cose, a partire dai quali procediamo, dei quali parliamo e per i quali esploriamo qualità nuove, fino a negarli attraverso il potere chimerico delle utopie che immaginiamo.
I luoghi reali sono gli spazi da cui nascono e si irradiano tutti i luoghi possibili, concreti o virtuali che siano. A ben guardare, poi, anche i luoghi reali hanno proprietà fantastiche. Possono apparire come isole d’ordine o dispersione irregolare di cose. A volte continuano a generare identificazione, a costituire i luoghi dell’appartenenza, dell’esperienza del “dentro”; altre volte favoriscono invece l’estraniazione, la sperimentazione dell’altrove. Connotati dalla nostra esperienza quotidiana in continua fluttuazione tra contesti originari e statuti siderali, essi assumono qualità fantasmagoriche5Bonomi, A., La società fantasmagorica, in Guattari, F. (a cura di) Architettura della sparizione, architettura totale, in Millepiani n° 7, Mimesis, Milano 1996.. In certi casi incantano, irretiscono ed inducono allo sradicamento, alla liberazione dalle convenzioni locali, trascinando verso circuiti economici e culturali globali; in altri si offrono alle scritture successive come palinsesti in cui persistono tracce più profonde della memoria stessa, dai quali riaffiorano segni raschiati o mappe sbiadite per luminosi destini.
Nella limitata dimensione dei luoghi reali il tempo e lo spazio coesistono compressi. In essi si riverberano i movimenti vitali ed i traumi della loro conformazione; da essi cadenzano i ritmi e gli strati di epoche diverse; su di essi si accumulano segni e detriti di abitudini ed eventi che, a loro volta, racchiudono storie, raccontano favole.
Per cogliere il valore dei luoghi reali è necessario in primo luogo oltrepassare l’ovvio, andare oltre ciò che si presume di conoscere. Non fermarsi alla loro apparenza, al già noto, ma scoprire, come per le cose, il loro “dorso”6Bodei, R., La vita delle cose, Laterza, Roma-Bari, 2011., la capacità di rivelare significati ad uno sguardo capace di svelarli dall’opacità dell’abitudine, a chi li osserva nella loro problematicità. Nulla di nuovo. L’attribuzione di valore dell’esistente è una preziosa acquisizione del pensiero moderno, ottenuta da decenni attraverso l’autocritica positiva della tradizione della modernità, assieme al riconoscimento dei materiali provenienti dai contesti, all’attenzione ai luoghi e alle preesistenze ambientali. I luoghi reali, tuttavia, sfuggono ai tentativi di scomposizione e risistemazione attraverso parametri conoscitivi predeterminati e ad ogni estremo tentativo di assolutizzarne le forme. Nel loro modificarsi essi rispondono invece ad una intrinseca capacità di prodursi in forma, indipendentemente dall’esistenza di ipotesi di previsione, proponendo la modificazione stessa quale sostanza della trasformazione. Continui processi di costruzione, compensati da altrettanti processi di degrado, caratterizzano i luoghi reali come attività necessarie alla loro stessa esistenza. Processi che impongono la trasformabilità degli elementi quale condizione di appartenenza al ciclo produzione/consumo/riciclaggio, che ha sostituito, nelle forme di una nuova ecologia artificiale, la linearità originaria della produzione industriale. I luoghi reali trasmutano, evolvono nella spirale sviluppo-squilibrio su cui andarono ad infrangersi tanto gli eroici tentativi di salvaguardare una forma per la città, quanto le regressive utopie antiurbane e l’ideologia dell’equilibrio7Tafuri, M., Progetto e utopia, Laterza, Bari 1977..
Radicare l’esperienza nei luoghi reali non vuol dire necessariamente prestare un’attenzione esclusiva ai discorsi possibili sull’estetica della città contemporanea. Può corrispondere, invece, all’opportunità di tornare a desumere dalla tensione ad un impegno profondamente civile dell’architettura- il tentativo cioè di elaborare risposte concrete alle esigenze sociali- i nuovi livelli di problematicità che investono la città contemporanea. Per altri versi, l’esistenza di una molteplicità di metodi interpretativi, modi di pensare e possibilità di espressione, di quella pluralità di linguaggi che è garanzia di verità non faziose, può anche permettere il disincanto necessario per tornare a costruire i propri termini di riferimento in luoghi ideali, irrealizzabili eppure utili ad orientarsi nell’attuale proliferazione di significati. A cercarli dentro o sotto i luoghi reali, convinti che in essi- parafrasando Argan8“Una città ideale, tuttavia, esiste sempre dentro o sotto la città reale, distinta da essa come il mondo del pensiero da quello dei fatti” Argan, G. C., Storia dell’arte come storia di città, Editori Riuniti, Roma 1984.- un luogo ideale esiste sempre, da essi distinto come il mondo del pensiero da quello dei fatti.
Può bastare, allora, un tassello che ricompone un paesaggio virtuale costituito da luoghi reali, da cui affiorano figure che evocano immagini e pratiche, raccontandone ragioni e destini, per pensare che partendo da lì è possibile mettere assieme, “pezzo a pezzo la città perfetta”9Calvino, I., in Ibidem, p. 81.
References
1. | ↑ | Calvino, I., Le città invisibili, Einaudi, Torino 1972, p. 81. |
2. | ↑ | Foucault, M., Les Heterotopies, Paris 2004; trad. it. Moscati, A. (a cura di) Utopie Eterotopie, Cronopio, Napoli 2006. |
3. | ↑ | Foucault, M., Les Mots et les Choses. Une archéologie des sciences humaines, Paris, 1966; trad. it. Rizzoli, Milano 1967. |
4. | ↑ | “(…) gli spazi si sono moltiplicati, spezzettati, diversificati. Ce ne sono oggi di ogni misura e di ogni specie, per ogni uso e per ogni funzione. Vivere, è passare da uno spazio all’altro, cercando il più possibile di non farsi troppo male”. Perec, G., Specie di spazi, trad. it. Bollati Boringhieri, Torino 1989. |
5. | ↑ | Bonomi, A., La società fantasmagorica, in Guattari, F. (a cura di) Architettura della sparizione, architettura totale, in Millepiani n° 7, Mimesis, Milano 1996. |
6. | ↑ | Bodei, R., La vita delle cose, Laterza, Roma-Bari, 2011. |
7. | ↑ | Tafuri, M., Progetto e utopia, Laterza, Bari 1977. |
8. | ↑ | “Una città ideale, tuttavia, esiste sempre dentro o sotto la città reale, distinta da essa come il mondo del pensiero da quello dei fatti” Argan, G. C., Storia dell’arte come storia di città, Editori Riuniti, Roma 1984. |
9. | ↑ | Calvino, I., in Ibidem, p. 81 |